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ASCOLTARE CON MERAVIGLIA. LA MERAVIGLIA DI ASCOLTARE.

è forse vero, non abbiamo visto “niente” in questa giornata in cui siamo stati immersi nelle nuvole, eppure…

Il roccolo curato con maestria in una conca rasata tra piccoli boschetti nascosti tra le colline a pascolo appena fuori dal borgo…

Il bosco di faggi, silenziosissimo e pieno di suoni, umori, profumi, sentieri impervi e tratti più morbidi e aperti, nebbioline che approfondiscono le distanze, foglioline verdissime nuove nuove e tronchi marci, nutrimento per miriadi di esseri e specie. Un gruppo bello folto di camminatori esperti e curiosi, per un momento in completo silenzio, una magia, una delizia, un regalo per tutti, grazie davvero.

E a un tratto la grande apertura del prato punteggiato da decine di specie di fiori (più di 600 ne hanno pazientemente segnate e catalogate gli amici esperti del FAB, Flora Alpina Bergamasca) di queste quote e che fino a ieri, sotto la neve, nessuno avrebbe davvero immaginato di rivedere così presto. Erbe alte in attesa del primo sfalcio e poi del pascolo delle vacche ormai pronte a salire in quota, libere dopo mesi di stalla, ma certe che sarebbe arrivata la stagione della malga, finalmente all’aperto.

Altre radure verdissime e sorprendenti, segno del lavoro dell’uomo nei secoli, per diradare il bosco e offrire nutrimento alle mandrie, ogni anno da riportare in quota, ogni giorno da curare e mungere, e con il latte fatto da tanta qualità, cagliare, lavorare, dare forma, spazzolare, stagionare, vendere…

I calcari bianchi ci sorprendono a un tratto, strapiombanti sopra le nostre teste, un tempo gusci di creature marine posati sul fondale dell’oceano tra Europa e Africa o tra le placche continentali che ancora non avevano un nome né culture da sviluppare. Se mettessimo la storia della Terra sul calendario, su quali giorni dell’anno segneremo con la matita la nascita delle Alpi e delle Prealpi calcaree su cui stiamo camminando? le prime date sparate dalla primavera a fine estate, ma D. ci pensa su e sicuro l’azzecca con precisione sorprendente. Il primo quizzone è andato, troppo veloce! bravo D. :))

E la incredibile storia del lupo appenninico italiano che sta chilometro dopo chilometro e partito dal Parco nazionale d’Abruzzo sta ripopolando Appennini e Alpi, dal suo quasi totale sterminio fino ai primi anni ’70 dopo secoli di guerra aperta con l’umano, ai progetti di tutela, alla complessità dei temi per la convivenza con chi sulle nostre Alpi ci vive, ci lavora e mantiene con tanta fatica la tradizione di alpeggio e tutta la ricchezza, profondità e importanza della sua cultura.

L’incontro con il bergamino, alle prese con i lavori alla malga appena aperta, e con i primissimi formaggi, frutti della breve ma faticosa transumanza stagionale dal paese fin su alla “baita de Süra” del giorno precedente, lungo sentieri impervi che anche noi con due zampe e spinte di bacchette abbiamo fatto fatica a salire, figurarsi animali di 5-6 quintali o più…

Le vacche ancora nervose per il viaggio, per la quota, per l’ambiente nuovo, per tutto quello spazio aperto, per il potere che le reginette si contendono in quei primi giorni di amalgama in quota. Incornate neanche troppo innocue, muggiti potenti e bassi, tanto da far vibrare pelle faccia cassa toracica stomaco.

Uau! ma voi non facevate parte degli animali pacifici, remissivi, giganti buoni, da millenni allevati e sfruttati per il nettare bianco e onorati e rispettati da tradizioni per la tranquilla convivenza con il creato? Si sono proprio loro, ma oggi da lì non si passa. E allora abbandoniamo il sentiero tracciato, recintato e fisicamente bloccato dalle brune alpine incazzose per trovare fuori traccia un passaggio alto che supera il filo elettrificato e a distanza di sicurezza delle guardiane in fase di ambientamento.

Nebbiolina, prati ampi e pronti per il pascolo e finalmente in lontananza il rifugio. Asciutto, caldo, allegro per l’accoglienza dei volontari di un progetto di sviluppo economico e di formazione di guide in Perù… che dopo l’abbondante pranzo in compagnia ci regalano il racconto dell’impegno in america latina e in Italia, anche li al rifugio ora, ristrutturato a forza di braccia, gambe cuore e progetti a partire da una vecchia baita, in splendida posizione nella verde conca tra i torrioni di calcare bianco oggi invisibili.

Quando dopo o durante un’escursione sotto la pioggia, magari leggera, che comunque per le nuvole in cui si è immersi non permette di vedere ampi panorami, qualcuno mi dice: ma non abbiamo visto niente!…. allora penso che ha ragione, molto meglio con il sole e giornate terse, ma mi si stringe comunque il cuore e penso alla bellezza del camminare e del raccontare di umani, di natura e dei loro sorprendenti incontri, che creano cultura e coltura, complessità, problemi e bellezza.

Se non si riesce a vedere oltre le aspettative, se si cercano paesaggi da cartolina e, certo, un bel sole scintillante che scalda le teste e rallegra i cuori, se si attende questo per vedere sentire sperimentare ciò che si ha intorno, allora davvero manca qualcosa di importante, e si perdono così preziose occasioni per stare in ambiente, per una volta in modo diverso. Questo sentire arriva più chiaro, diretto, intenso a chi ha la capacità, innata o educata e sviluppata piano piano nel tempo, di ascoltare in profondità. Con pazienza, allegria, tenacia, e magari con curiosità e meraviglia. E a volte pure di ascoltarsi, con coraggio.

Alla fine qualcuno si avvicina per dirmi che l’ambiente “così”, oggi è stato ancora più suggestivo e particolare…

Grazie di cuore, altri occhi a volte ci salvano.

sguardi

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